Viaggiare nel mondo del Cinema: I grandi registi italiani: Federico Fellini e Dino Risi

Mercoledì scorso 17 aprile, abbiamo continuato a “Viaggiare nel mondo del Cinema” in compagnia di Marco Petrucci che ha raccontato due importantissimi registi italiani: Federico Fellini e Dino Risi.

 

Federico Fellini, uno dei maggiori registi della storia del cinema, era nato a Rimini nel 1920 ma, incredibilmente, non girerà mai nessuna scena nella sua città di origine. 

Aveva un talento speciale nel disegno e la “Domenica del Corriere” gli pubblicò una quindicina di vignette, agli inizi del 1939. Con la scusa di frequentare l’università si trasferì a Roma con l'obiettivo, in realtà, di fare il giornalista. Esordì sul “Marc’Aurelio” rivista satirica. Iniziò anche a frequentare Cinecittà dove per un’intervista conobbe Aldo Fabrizi.


Fellini era un fiume in piena: iniziò a scrivere battute per spettacoli teatrali per Aldo Fabrizi, programmi per la radio, allora EIAR, collaborò con la rivista “Cinema”.

Nel 1943 incontrò alla radio Giulietta Masina che sarà la sua compagna di tutta la vita e la straordinaria protagonista di alcuni suoi film.

Collaborerà ad alcune sceneggiature “Campo de’ Fiori” e “Avanti c’è posto” ma la svolta decisiva della sua carriera sarà alla fine della guerra, Quando contribuì alla sceneggiatura di “Roma città aperta” e “Paisà”, è a questo punto che sceglierà, in modo definitivo, il mondo della celluloide.

L’esordio assoluto come regista avvenne ne “Lo sceicco bianco” (1952), coautore del soggetto Antonioni, coautore della sceneggiatura Flaiano e una grande interpretazione di Alberto Sordi, nonostante tutto questo, gli incassi al botteghino furono scadenti e i commenti della critica, una stroncatura che sembrò quasi senza appello.

Fu il film “I vitelloni” (1953) con un’accoglienza entusiastica di pubblico e il Leone d’argento a Venezia a consacrarlo e farlo conoscere anche all’estero.



Seguirono “La strada”, “Le notti di Cabiria”, “8 ½”, e “Amarcord” che gli valsero l’Oscar come miglior film straniero e tanti riconoscimenti.

Sarà il film “La dolce vita”, in cui abbandonerà gli schemi narrativi tradizionali, a legare in modo indissolubile il nome del regista all’immaginario collettivo. Un film che desterà scalpore e polemiche, perché oltre a situazioni fortemente erotiche, descrive una certa decadenza morale che appare in forte contrasto con il benessere che il boom economico aveva comportato nella società italiana.

Il regista rappresenta in tutti i suoi film, connotati da forte autobiografismo, mai provinciali, velati di satira e di sottile malinconia, il proprio io attraverso uno stile onirico e visionario.

Definiva se stesso “un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo”.

Dino Risi, considerato uno dei massimi esponenti della commedia all’italiana, dotato di un’ironia sferzante e di un’istintiva capacità nel mestiere di regista. Nato a Milano, padre medico, nonno garibaldino, importante ingegnere civile, sembrava destinato, come avrebbe voluto sua madre, dopo una laurea in medicina e chirurgia, a fare lo psichiatra ma si rifiutò ed iniziò la sua carriera cinematografica, come aiuto regista con Mario Soldati ed Alberto Lattuada.


Girò dei cortometraggi, due in particolare: “Barboni”, del 1946, sulla disoccupazione a Milano e “Buio in sala”, del 1950, in una Milano con ancora i segni e le macerie della guerra, Risi a proposito del secondo, parlò del cinema come “maestro di vita”. Costato duecentomila lire, fu venduto a Carlo Ponti per due milioni, e questo fatto rafforzò in lui la vocazione creativa e lo spinse a trasferirsi a Roma.

Il successo arrivò con “Pane, amore e…” (1955) sequel dei fortunati film di Comencini e “Poveri ma belli” (1956) con grande consenso di pubblico che lancerà attori ed attrici la cui carriera, dopo un esordio molto brillante, avrà esiti diversi. Seguirà lo stesso anno “Il vedovo” ineffabile satira di costume con un incontenibile Alberto Sordi affiancato da un’attrice capace di tenergli testa, la straordinaria Franca Valeri.



Gli anni sessanta consacrano il cinema di Risi, come vari critici scrivono, equiparandolo a Billy Wilder, “Una vita difficile” (1961), film molto intenso, con Sordi in un ruolo drammatico, e “Il sorpasso” del 1962, ritenuta la sua pellicola migliore, che rivoluziona la commedia: niente lieto fine, antesignana pellicola dei road-movie americani. Il ritratto dell’Italia in pieno boom economico vista attraverso lo sguardo dei due protagonisti, completamente diversi tra loro. Roberto giovane timido attratto dagli schemi sociali di successo, tuttavia incardinato a precisi canoni di comportamento, mutuati dal proprio gruppo di appartenenza: la piccola borghesia romana lavoratrice e Bruno che rappresenta, invece, la giovane classe rampante, priva di scrupoli ma, soprattutto, di solidi valori morali che il personaggio maschera con frasi retoriche e vuote, pur avendo dalla sua parte un bagaglio di esperienze (e di malizia) superiori al giovane Roberto.

E poi ancora tanti altri film, con i grandi attori del cinema italiano oltre a Sordi, Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi.

“Straziami ma di baci saziami” (1968) giocato sugli stereotipi del romanticismo dei fotoromanzi, in gran voga in quegli anni, con i personaggi che citano frasi delle canzoni di Sanremo e parlano uno strano dialetto tra l’umbro e il marchigiano e Tognazzi che interpreta un personaggio muto, nemmeno una parola per l’intero film, ma sempre straordinario.

Vizi e difetti degli italiani in “In nome del popolo italiano” (1971) con un finale spiazzante e inquietante con Gassman e Tognazzi e “Profumo di donna” (1974) tratto dal romanzo “Il buio e il miele” di Giovanni Arpino, due nomination agli Oscar.

Il viaggio in treno da Torino a Napoli di un capitano in pensione Fausto Consolo, rimasto cieco e privo dell’uso della mano sinistra a causa di una granata esplosa accidentalmente, per incontrare l’amico Vincenzo. Come attendente gli viene assegnato un soldato di leva. I due amici, Fausto e Vincenzo, tentano maldestramente di suicidarsi, ma Fausto alla fine dovrà cedere alle attenzioni di Sara e smettere di rifiutarle, una donna che lo ha corteggiato e vuole prendersi a tutti i costi cura di lui. Di questo film nel 1992 è stato fatto un remake con Al Pacino.

Marco Petrucci ha arricchito il racconto con curiosità legate alla scelta degli attori, dei luoghi dove sono state effettuate le riprese e i tanti episodi di cui sono costellate, della vita dei registi, brani di interviste e tanto altro.

La partecipazione all’incontro con la sala piena ha dimostrato ancora una volta quanto interesse ci sia per le iniziative della Biblioteca del Casale.

Appuntamento al prossimo incontro di "Viaggiare nel mondo del Cinema"





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