Viaggiare nel mondo del Cinema: I grandi registi stranieri: Alfred Hitchcok e Billy Wilder

 La Biblioteca del Casale, continuando la programmata serie di incontri “Viaggiare nel mondo del Cinema”, ha nuovamente ospitato Marco Petrucci per una interessantissima serata dedicata a due grandi registi stranieri; Alfred Hitchcock e Billy Wilder.


Hitchcock, classe 1899, londinese di umili origini, inizia la sua vita lavorativa con le attività più varie e spesso modeste. Solo nel 1920 si avvicina al cinema entrando alla Paramount come disegnatore dei titoli e didascalie per film muti, ma questo sarà solo l’avvio di una esaltante carriera cinematografica che lo porterà alla regia di film che entreranno nella storia del cinema.

Un lungo elenco, dall’esordio con il “Labirinto delle passioni” (1925) ed “il Pensionante” (1927) con cui conoscerà il successo, fino alle indimenticabili pellicole del così detto periodo inglese (1925-1939): “L’uomo che sapeva troppo”, “Giovane e innocente”, “La signora scompare” e “La taverna della Giamaica”, con le quali diverrà uno dei registi più amati.

Nel 1940 si trasferisce a Los Angeles e realizzerà pellicole che saranno un successo dopo l’altro: “Rebecca – La prima moglie” (1940), “Io ti salverò” (1945), “Notorius” (1946), “Il caso Paradine” (1947), lavorando con le più grandi stelle hollywoodiane (Laurence Olivier, Gregory Peck, James Stewart, Ingrid Bergman, Alida Valli, Cary Grant, ecc.) e creando personaggi e storie straordinarie, tante candidature all’Oscar ne vince quattro come regista.

Come ha detto Marco Petrucci saranno pellicole uniche ed indimenticabili tanto da trasformare Hitchcock in un idolo per Chabrol e Truffaut, due grandi registi del cinema francese. Film come “La finestra sul cortile” (1955), “La donna che visse due volte” (1958), “Intrigo internazionale” (1959), “Psyco” (1960) diverranno cult mondiali ed il regista sarà consacrato maestro della suspense. 


Marco spiega che lo strumento più potente che adotta per trattenere l’attenzione dello spettatore è la suspense, ottenuta grazie allo scollamento tra ciò di cui è a conoscenza lo spettatore e ciò che conosce il personaggio sulla scena. Lo spettatore si trova così in uno stato di ansiosa attesa, spesso rinforzata da temi musicali, ombre e luci particolari.


L’altro grande regista presentato è Billy Wilder. Nato in Australia nel 1906 da un’agiata famiglia ebrea, percorrerà un lungo itinerario (Vienna, Berlino, Parigi) prima di approdare in America nel 1933. Inizia la sua carriera come giornalista, prima sportivo poi di cronache giudiziarie, fino all’esordio come sceneggiatore ad Hollywood.


Nel 1942 riesce a dirigere la sua prima pellicola “Frutto proibito”, commedia ricca di equivoci e travestimenti che diventeranno alcuni tra i marchi di fabbrica di Wilder. Variegati e non univoci sono gli attributi che gli vengono riconosciuti: “espressionista”, “realista”, “il re della commedia”, con “Stalag 17” (1953) offrirà un’ulteriore prova trattando un tema drammatico, candidato all’Oscar per la regia, il premio lo vincerà William Holden come protagonista. Billy Wilder spiazzava continuamente la critica “raffinata” inserendo nella commedia brillante l’allusione “pesante” e il frizzo “volgare” che quasi sempre si sono persi nel doppiaggio in italiano. Citando Freud, la battuta spiritosa permette di rendere evidente qualcosa che diversamente non si potrebbe portare allo scoperto. In questo modo evita la censura e apre la possibilità di esprimere situazioni altrimenti improponibili.

Film come “A qualcuno piace caldo” (1959), “L’appartamento” (1960), “Non per soldi ma per denaro” (1966) hanno scosso alle fondamenta il perbenismo e la falsa morale portando sullo schermo argomenti sul sesso ai limiti della pornografia (in senso etimologico), avidità umana e cinismo, sempre espressi in forma di commedia brillante, in particolare “Quando la moglie è in vacanza” (1955), che esprime una feroce satira su ipocrisia e moralismo del borghese medio americano. Resterà memorabile e iconica la sensualissima scena con Marilyn Monroe mentre lo sbuffo di aria proveniente dalla griglia sul suolo solleva la sua gonna. Un evidente simbolo della tentazione maschile.



Non mancano pellicole noir come “Viale del tramonto” (1950), film candidato a undici Oscar, ne vinse tre. Una pellicola che ebbe un impressionante successo, dove tutto appare come metafora di una Hollywood che rifiuta il suo passato destinata a vivere nell’illusione e nel sogno di un perpetuo successo.



Grazie alle organizzatrici Cristina Petrucci e Rossana Pantano e un plauso a Marco Petrucci per la conferenza, condotta sempre con grande competenza e passione, che riproponendo due registi immortali, ha consentito un tuffo nel passato, quando di sale cinematografiche ce n’erano tante e proiettavano pellicole di qualità. Le/i partecipanti hanno mostrato veramente grande entusiasmo rendendo evidente che quei film erano già nel loro archivio mnemonico da anni e che vi resteranno per sempre.







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